Gli strumenti di cattura illegali uccidono i selvatici dopo atroci sofferenze
di Isidoro Furlan, foto di Zeno Focus
Nel 2022 è stata approvata la modifica degli articoli 9 e 41 della Costituzione italiana, introducendo il riferimento agli animali e stabilendo che il legislatore definisca le forme e i modi di tutela, seguendo l’orientamento della normativa europea. Nel Trattato sul Funzionamento dell’UE si legge che: “… poiché gli animali sono esseri senzienti, porre attenzione totale alle necessità degli animali, sempre rispettando i provvedimenti amministrativi e legislativi degli Stati Membri relativi in particolare ai riti religiosi, tradizioni culturali ed eredità regionali”. Tale norma riconosce pertanto dignità agli animali, che non vengono più considerati cose. La LIPU stima che ogni anno in Italia vengano uccisi illegalmente 5 milioni di uccelli a causa del bracconaggio che è ancora molto diffuso, e la caccia a specie protette venga considerata un reato minore. Secondo un rapporto Legambiente “solo un bracconiere su 20 viene individuato e, nelle attuali condizioni, la stima ragionevole è che possa essere preso solo un soggetto ogni 100 o 150 azioni di bracconaggio, forse anche meno. Quindi rispetto ai 35.500 illeciti accertati in 12 anni, è verosimile siano accaduti, negli stessi 12 anni, tra i 3.500.000 e i 5.325.000 episodi illeciti contro la fauna selvatica”. I mezzi di cattura illegali non sono selettivi e gli animali muoiono dopo molte sofferenze. Nel nord Italia tra gli uccelli sono soprattutto pettirossi, pispole e fringuelli a cadere nei lacci e nelle trappole ma, a seconda delle località, anche altre specie di uccelli, come tordi, occhicotti, pernici sarde e fringuelli frosoni fanno la stessa fine e neanche i mammiferi sono risparmiati.

ARCHETTI E TAGLIOLE
Il tubo fucile. Il capriolo (Capreolus capreolus) viene attirato utilizzando del comune sale per zootecnia e inevitabilmente, muovendosi attorno alla pianta alla quale è appesa l’esca, urta il filo teso collegato allo scatto di una massa battente, provocando l’innesco di una comune cartuccia caricata a pallettoni. I bracconieri utilizzano veri fucili con la matricola abrasa, oppure armi rudimentali nelle quali una comune cartuccia calibro 12 trova alloggio in un tubo metallico, mentre un chiodo appesantito teso da una molla collegata all’inciampo innesca l’esplosione.
L’archetto è ancora molto in uso in alcune regioni italiane: un piccolo cappio sotteso da un arco realizzato in acciaio armonico scatta imprigionando violentemente le zampe dell’uccellino che quasi sempre vengono fratturate. Vittima d’elezione è il pettirosso (Erithacus rubecula): attirato da alcune bacche rosse (sorbo montano o sorbo dell’uccellatore) si avvicina per cibarsi, e anche perché, fortemente territoriale, reagisce agli oggetti di tale colore attaccandoli.
La tagliola: due potenti ganasce di ferro a denti di sega, sottese da una molla potentissima, scattano imprigionando le zampe del tasso (Meles meles) il quale, tra sofferenze atroci, resta imprigionato per ore prima del sopraggiungere del bracconiere che lo finirà con un colpo di fucile o con una bastonata. Le tagliole sono commisurate alle dimensioni dell’animale che si vuole catturare e vengono poste lungo i percorsi abituali delle vittime prescelte. Durante gli inverni più rigidi, il bracconiere le posiziona nell’acqua, per evitare che il gelo blocchi le ganasce. In alcune regioni italiane il ghiro (Myoxus glis) è considerato una vera leccornia, ma appartiene alla fauna protetta e non ne esistono allevamenti. Con piccole tagliole nascoste tra i rami questi sciuridi vengono catturati e uccisi. Oltre ai ghiri vengono catturati scoiattoli, moscardini e talvolta anche gufi comuni, civette e allocchi. Durante la Prima Guerra Mondiale, le tagliole sono state utilizzate come armi e venivano posizionate nei camminamenti delle trincee, provocando terribili ferite. Costruire, vendere, detenere o utilizzare le tagliole è oggi severamente vietato dalla legge italiana.

RETI E LACCI
Le reti e i roccoli: finissime le prime, quasi invisibili, vengono tese tra le fronde degli alberi dove gli uccelli come il Tordo bottaccio (Turdus philomelos) si recano per riposare o per nutrirsi. Il bracconiere si nasconde non lontano per recuperare prontamente l’animale imprigionato che viene catturato vivo, per essere poi venduto come animale da compagnia, come richiamo per altri uccellini o come cibo. Lorenzo il Magnifico era maestro in questo tipo di attività e spesso si recava in una sua tenuta appositamente attrezzata. L’utilizzo di queste reti è oggi ancora consentito solo per scopi strettamente scientifici. Gli impianti sono rigidamente controllati e tutte le catture sono registrate; dopo aver identificato l’uccello catturato e aver raccolto dati biometrici e sulle condizioni fisiche, l’esemplare viene inanellato e rimesso immediatamente in libertà. I dati raccolti sono fondamentali per comprendere i movimenti degli uccelli migratori e per organizzare la loro tutela anche in prospettiva internazionale. Tutti gli operatori autorizzati a questa attività debbono sostenere severissimi esami che garantiscono l’incolumità degli uccelli e la validità dei dati raccolti.
Il laccio: cavo d’acciaio nascosto alla base di una pianta dove solitamente si aggirano gli animali; una volta intrappolata, la lepre (Lepus europaeus) si rompe letteralmente il collo nel tentativo di liberarsi. Negli anni Cinquanta del secolo scorso, in Trentino, un surplus di nascite tra le lepri finì col provocare ingentissimi danni ai frutteti riducendo sul lastrico molti coltivatori di mele. Ciò spinge alcuni coltivatori a farsi giustizia da sé. Alcuni bracconieri dediti alla cattura di grandi animali come il daino (Dama dama) o il cervo (Cervus elaphus) spesso utilizzano lacci in acciaio tesi in alto tra la vegetazione. In questo modo si evita che animali come cinghiali (Sus scrofa) o volpi (Vulpes vulpes) cadano nell’insidia mentre i grossi maschi di cervo, con i loro imponenti palchi, finiscono intrappolati. Molti cappi vengono assicurati alla base degli arbusti o a un pesante pezzo di legno, cosicché le pernici rosse (Alectoris rufa), spesso in gruppo (brigata) in cerca di cibo, finiscono per rimanere imprigionate dai nodi scorsoi. Oggi vengono utilizzate sottili lenze da pesca, ma un tempo i lacci venivano realizzati con il crine di cavallo. Il laccio altre volte è “mobile” e assicurato a un bastone. La volpe, una volta imprigionata dal nodo scorsoio, lo trascinerà tra la vegetazione sino a quando si incastrerà nell’intrico del sottobosco, restando bloccata per poi morire “per fame”. I lacci galleggianti vengono utilizzati per la cattura degli uccelli acquatici. Un vecchio fiasco o una bottiglia, mimetizzati tra fasci di ramaglie, fungono da galleggiante e vengono lasciati affiorare presso la vegetazione costiera dove gli anatidi come i Germani reali (Anas platyrhynchos) sono soliti aggirarsi alla ricerca del cibo; una volta imprigionati, gli uccelli non riescono più a volare e possono essere facilmente “raccolti” dai bracconieri.

LE TRAPPOLE
La trappola a fossa per il lupo: profonde buche realizzate lungo i sentieri che conducevano ai villaggi. In tempi ormai molto lontani, i lupi rappresentavano un vero pericolo per la popolazione a causa della diffusione della rabbia. Gli umani feriti dai lupi rabidi, dopo l’incubazione del morbo, quasi sempre morivano: un male oscuro avvolto per secoli dal mistero e considerato più una maledizione demoniaca che una patologia. Il grande chimico e microbiologo francese Louis Pasteur riuscì a sconfiggere la malattia e a svelarne la vera natura nel 1885. Le fosse per il lupo erano costituite da buche nascoste da una piattaforma basculante; il peso del lupo faceva ruotare la piattaforma di legno imprigionando l’animale nella fossa dove poi veniva ucciso, di solito con una picca per risparmiare sulle munizioni. La necessità di segnalare la presenza della trappola ha dato origine a molti toponimi: “fossa luvera”, “lovaia”, “bocca del lupo”, “luviera”, “lovera” ecc..
La schiaccia o “ciappa”: forse la trappola più semplice e antica: un’impalcatura di sottili assicelle di legno sorregge una pesante pietra piatta. Tra l’intrico delle assicelle veniva sistemato del cibo che attirava gli uccelli affamati durante l’inverno. Le “ciappe” venivano posizionate nelle piccole zone non innevate dove naturalmente la Cesena (Turdus pilaris) è solita cercare il nutrimento: nel tentativo di sfamarsi urtava l’impalcatura di legno che cedeva facendo precipitare la pesante lastra di pietra.
La schiaccia nella neve: una piccola fossa nella neve con molto cibo sul fondo; in questo modo gli uccelli si spingevano in fondo alla buca mentre un intricato sistema di assicelle di legno teneva sollevata una pesante lastra di pietra. Cibandosi, gli animali urtavano le assicelle che crollando facevano precipitare la lastra di pietra imprigionandoli vivi all’interno della buca. Una volta recuperati, gli uccelli ancora vivi venivano tenuti in gabbia per essere venduti come animali da compagnia o per ottenere, grazie all’accoppiamento con i canarini domestici, animali dalle livree magnifiche o dotati di eccezionali capacità canore. Con questo sistema venivano insidiati soprattutto Cardellini (Carduelis carduelis), ma anche Lucherini (Carduelis spinus) e Ciuffolotti (Pyrrhula pyrrhula).
La gabbia trappola è il sistema più utilizzato dai bracconieri per catturare i cinghiali: una robusta gabbia metallica e una porta scorrevole a caduta. Allettato con cibi succulenti, il cinghiale si arrischia all’interno della trappola, mentre un inciampo collegato a un piccolo chiavistello libera il pesante portello che, scivolando in apposite guide, lo imprigiona.