IL CIELO STA CAMBIANDO

29 Luglio 2025

La riduzione del buco dell’ozono dimostra che la cooperazione internazionale produce risultati concreti nella lotta ambientale

Dal 1979 a oggi, il buco dell’ozono ha continuamente cambiato dimensione, ma dal 1992 sembrerebbe abbia iniziato a ridursi in modo continuo. Nell’ottobre del 2024 la National Aeronautics and Space Administration (NASA) e la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) hanno riferito che la sua estensione massima è stata di 22,4 milioni di chilometri quadrati. Il numero da solo non dice nulla, ma dal momento che anno per anno viene annotato quanto è “grande”, oggi possiamo dire che si tratta di un ottimo risultato. Il buco dell’ozono del 2024 risulta essere il 20° più piccolo mai misurato e il 7° più piccolo dall’inizio del miglioramento, iniziato negli anni Novanta. Non c’è da cantar vittoria, ma va sottolineato il messaggio importante che questo numero porta con sé: unendo le forze, si ottengono i risultati. Tornando indietro con il tempo, si può spiegare meglio.

PERCHÉ È PIÙ PICCOLO?

I principali motivi della riduzione del buco dell’ozono, confermata dalle stime del 2024, consiste nella graduale riduzione di sostanze come i clorofluorocarburi (CFC), gli alocarburi e altri composti chimici. Era il 1987 e tutti i Paesi firmatari dello storico Protocollo di Montréal (tra i quali l’Italia) promisero di provare a sostituire alcune sostanze con altre meno dannose, dando anche scadenze specifiche degli obiettivi. Il lento ma continuo recupero dello strato di ozono, che oggi osserviamo con soddisfazione, è stato probabilmente innescato proprio da questa lungimirante decisione, ma anche altri fattori hanno giocato un ruolo importante: per esempio le condizioni meteorologiche, in particolare l’afflusso di aria ricca di ozono dal Nord dell’Antartide e le temperature stratosferiche con valori meno estremi. Guardando poi strettamente alla stima fatta nel 2024 da NASA e NOAA, va considerato quanto accaduto due anni prima con l’eruzione del vulcano Hunga Tonga. Quell’evento estremo e unico nel suo genere aveva avuto un forte impatto sulla composizione dei gas atmosferici. Non essendo poi più accaduto, la misurazione del 2024 risulta ovviamente migliore delle due precedenti. Ciò non toglie che il buco dell’ozono si sta attualmente riducendo, dal momento che ciò avviene da molto prima di questa recente eruzione.

CLIMA E BUCO DELL’OZONO

Il nostro proseguire nei miglioramenti non deve spingerci ad abbassare la guardia: il completo ripristino del buco dell’ozono sembrerebbe previsto per il 2066, ma nel frattempo non mancheranno oscillazioni e non devono essere fatti passi indietro su nessuno degli impegni presi. Oltretutto, va anche considerato che siamo completamente in balia dell’imprevedibilità, a causa della crisi climatica che giocherà un ruolo sempre più importante anche nell’evoluzione del buco dell’ozono. Gli effetti ipotizzati sono sia positivi che negativi, sicuramente interagisce con questo fenomeno e complica il recupero. Da un lato raffredda la stratosfera e favorisce reazioni chimiche che lo fanno ridimensionare, dall’altro altera i venti atmosferici, come il vortice polare, rendendo le sue dimensioni maggiormente variabili. Non potendo regolare le manifestazioni della crisi climatica a tavolino, per mantenere il trend conquistato non resta che rispettare gli impegni presi a Montréal con diligente serietà, ma non solo. Guardando a ciò che è accaduto finora, sarebbe fondamentale riflettere in modo più ampio su come un accordo congiunto e rispettato per diversi anni possa davvero portare a importanti miglioramenti. Misurabili e non scontati.

Il buco dell’ozono si sta riducendo e potrebbe chiudersi definitivamente tra il 2045 e il 2066. Le strategie internazionali degli ultimi 40 anni sono state fondamentali, ma la strada è ancora lunga ed è per questo che non bisogna perdere di vista l’obiettivo.

UN MESSAGGIO PER IL FUTURO

Dare questo significato al miglioramento delle dimensioni del buco dell’ozono diventa più che mai importante con l’avvicinarsi dell’appuntamento con la COP30, prevista per il 2025 a Belém, in Brasile. Durante l’incontro, i Paesi discuteranno eventuali strategie per contrastare il cambiamento climatico e non direttamente il buco dell’ozono, ma sarebbe importante che prendessero il Protocollo di Montréal come un modello. Questo “vecchio” accordo racconta un successo di cooperazione globale contro il cambiamento climatico che oggi sarebbe necessario emulare in chiave moderna, per affrontare le sfide più recenti e ancora prive di protocolli vincenti connessi. A partire dalle tre “urgenze” della COP30, che per ora sembrerebbero essere l’aggiornamento delle National Determined Contribution (NDC), la protezione dell’Amazzonia e della sua biodiversità e la definizione di un nuovo obiettivo di finanziamento climatico. È necessario, e lo si sapeva anche a Baku durante la COP29, ma il suo esito non è risultato all’altezza delle aspettative. Questa volta non si può più svicolare: è un passo fondamentale per sostenere i Paesi in via di sviluppo sia nel processo di transizione ecologica che nel loro adattarsi agli impatti dei cambiamenti climatici. M.A.

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