I SEGRETI DEL MATESE

7 Ottobre 2025

di

Stefano Cazora

In una terra bellissima e poco conosciuta nasce il venticinquesimo Parco Nazionale italiano.

I tempi sono maturi per una nuova esperienza in cui conservazione, valorizzazione e sviluppo non sono impossibili, anzi potrebbero essere complementari

Dalle sue vette più alte, nei giorni in cui il cielo è terso si possono scorgere distintamente sia il Mare Adriatico fino alle Isole Tremiti sia il Golfo di Napoli.

Qui sul Matese la storia è passata tante volte, lasciando segni evidenti incisi nel territorio e nei suoi abitanti che rivendicano orgogliosamente la propria origine sannitica, la quale non coincide affatto con le attuali suddivisioni amministrative, un po’ come “il Parco Nazionale del Matese, venticinquesimo neoistituito – spiega Agostino Navarra, Presidente del preesistente Parco Regionale campano – che abbraccia due regioni, quattro province e cinquantadue comuni. La Natura non conosce confini ma habitat ed ecosistemi. Una realtà particolare che si estende per quasi 88.000 ettari, che sorgerà dall’inglobamento e ampliamento del Parco Regionale e di altre aree già in parte protette”. Un Parco che dovrebbe nascere su basi nuove, senza ideologie preconcette. Conservazione, valorizzazione e sviluppo non sono impossibili, anzi in molti casi potrebbero essere complementari.

Adagiato in una conca a mille metri di quota si trova il Lago del Matese, lo specchio d’acqua carsico più alto d’Italia, in provincia di Caserta. – Foto M. Merola

NELLA TERRA DEI LAGHI

Con i Carabinieri del Nucleo Forestale di Alife ci inerpichiamo lungo le strade strette e tortuose che attraversano paesi antichi come Piedimonte, San Gregorio e Castello del Matese; man mano che saliamo l’aria si fa frizzante e la presenza umana più rarefatta, fino quasi a scomparire. Sopra quota mille ecco la terra dei laghi e dei faggi. Adagiato in una conca il Lago del Matese, lo specchio d’acqua carsico più alto d’Italia. E poi il Lago di Letino, quelli di Gallo e di Arcichiaro, nati per esigenze idroelettriche. Gli antichi pascoli sono perlopiù abbandonati, il bosco si riprende il suo spazio modellando il paesaggio millenario. Numerosi anche gli insediamenti rurali quasi disabitati. Il lupo è tornato a essere il signore di queste montagne, dove anche la presenza dei cinghiali e dei caprioli è in forte espansione. Dopo quasi un’ora di spostamenti in auto la sola presenza umana è quella dei Carabinieri del Nucleo Forestale di Letino, unico presidio di polizia su questo vasto altopiano. “La tutela del territorio – spiegano – è il nostro compito principale, ma a volte ci troviamo a occuparci anche di altro, come quando tempo fa, allertati da alcuni parenti, siamo intervenuti per bloccare il tentativo di una truffa ai danni di un’anziana signora che vive da sola”.

I controlli dei Carabinieri forestali in un’azienda zootecnica per la produzione del latte di alta qualità. – Foto S. Cazora

Le abitazioni estive e gli edifici turistici abbandonati ricordano un passato non molto lontano in cui il Matese casertano era più frequentato, oggi invece le presenze si limitano soprattutto a gite domenicali. Ma si sa, i tempi cambiano e l’era dei voli low cost ha interrotto tanti flussi turistici locali. Nuove offerte di ricerca del benessere in epoca post Covid potrebbero, però, incentivare la nascita di un turismo lento. La scommessa del Parco Nazionale potrebbe essere proprio questa, anche perché, per ora, la Natura sembra difendersi da sola e allora quello che si dovrebbe fare è semplicemente insegnare all’uomo come vivere e lavorare in questi luoghi con il giusto rispetto.

LA CIPRESSETA DI FONTEGRECA

Carabinieri forestali nella cipresseta di Fontegreca (CE), circa 70 ettari, dove si può ammirare un antico bosco di una rara specie di cipresso. – Foto S. Cazora

Ma è tempo di riscendere: ci aspetta una rarità naturalistica unica. Nascosta tra le forre del piccolo paese di Fontegreca appare la cipresseta vetusta, circa 70 ettari, dove si può ammirare il bosco di una rara specie di cipresso. Qui tutto è sorprendente, a cominciare dagli alberi: nessuno sa con certezza chi li abbia introdotti e quando o se siano un relitto di epoche preistoriche. Il bosco è attraversato da ruscelli e piccole pozze d’acqua cristallina, nelle quali nuotano tranquilli gamberi e trote. “Uno spettacolo fiabesco che attira ogni anno oltre 30.000 visitatori – spiega il sindaco, Antonio Montoro – un flusso che con l’istituzione del Parco Nazionale sarà destinato a salire; per questo già da tempo ci stiamo attrezzando per organizzare la fruizione del sito in modo sostenibile e per offrire ai visitatori maggiori servizi. Da quest’anno abbiamo introdotto la prenotazione e si paga un biglietto di ingresso per evitare sovraccarichi sull’ambiente”. Ci accompagna anche una giovane guida del posto che ci parla di Natura, di storia e leggende; nel suo eloquio realtà e fantasia, sacro e profano si mescolano: ci racconta dell’apparizione della Madonna a due pastorelli e delle janare, donne-streghe che di notte si trasformano in spiriti malvagi, di come si possano riconoscere e poi ci confida, con un po’ di timore e a voce bassa, che una di loro a Fontegreca esiste ancora. La vera magia è, però, il bosco stesso. A causa forse di un microclima particolare questi cipressi sono naturalmente resistenti al cancro della corteccia, la malattia che sta decimando molti esemplari in altre parti d’Italia.

VERSO SEPINO

Il teatro romano di Sepino (CB), importante sito archeologico in forte crescita, è perfettamente integrato con il paesaggio naturale. – Foto S. Cazora

Al valico di Sella del Perrone ci attendono i Carabinieri del Nucleo Forestale di Sepino: siamo in Molise e iniziamo la discesa verso la mitica Saepinum, centro abitato dai Sanniti fin dal IV Secolo a.C., poi dai Romani e oggi perla del nuovo Parco Nazionale. Un luogo dove, pur con alterne vicende, l’uomo ha lasciato la propria impronta fino agli insediamenti rurali del XVIII secolo, oggi completamente ristrutturati e trasformati in aree espositive, depositi e uffici. Fra tutti si distingue il teatro romano che supporta le case, un tempo dei contadini, disposte in modo da seguire l’andamento semicircolare che crea un effetto scenico di grande suggestione. Particolarità di questo importante sito archeologico in forte crescita è la perfetta integrazione con il paesaggio naturale. Terreni agricoli e attività pastorali ancora coesistono, con il parco archeologico che è molto più vasto dell’area riportata alla luce. Nelle vecchie case resistono ancora due abitanti. Alla città si accede da una delle quattro porte, percorrendo una delle due strade che coincidevano con i percorsi della transumanza, al cui incrocio si trovano il foro e i principali edifici sacri e civili. Anche qui Storia e Natura si fondono in un senso accogliente di quiete rasserenante.

Poche curve e si sale subito in quota, sul pianoro di Campitello di Sepino, tra meravigliose radure attrezzate e pascoli d’altura. Poco più avanti, a circa 1.400 metri di altitudine c’è il rifugio di Nicola Palladino, che alleva mucche pezzate rosse allo stato brado. Si vede che stanno bene, adagiate sui prati assolati. “Sono naturalmente pulitissime e si cibano soprattutto di erbe e fiori spontanei che conferiscono al latte un gusto unico”. Nei week end estivi qui c’è il pienone, ma il resto dell’anno è un paradiso per pochi fortunati.

I SAPORI DEL PARCO

Tra i tesori agroalimentari del Matese spicca il caciocavallo, Prodotto Agroalimentare Tradizionale (PAT). – Foto M. Merola

Tra i tesori del Matese spiccano il tartufo nero, ma anche i salumi, il fagiolo di Gallo, la cipolla di Alife, le castagne e poi una schiera di formaggi ovini, caprini e vaccini tra i quali primeggia il caciocavallo, Prodotto Agroalimentare Tradizionale. A San Potito Sannitico, Vincenzo Iannetelli è alla terza generazione di casari e allevatori. Qui il ciclo di produzione è a metro zero. Il latte, tramite una breve conduttura, passa direttamente dalla sala di mungitura a quella di trasformazione. Vincenzo e la sua famiglia allevano mucche della razza pezzata rossa in purezza, una specie che coniuga produttività, qualità del latte e resistenza. “Qui gli animali sono alimentati esclusivamente con foraggio locale. L’attenzione quasi maniacale a tutti i passaggi permette di realizzare formaggi a latte crudo e ciò conferisce una notevole differenza di gusto mai standardizzato. Facciamo tutto alla luce del sole e i nostri clienti possono osservare ogni attimo del processo di produzione, dalla stalla alla commercializzazione. Il prossimo traguardo sarà quello di incrementare l’affinamento”.

UN SALTO NELLA PREISTORIA

Ciro, il fossile perfettamente conservato di un dinosauro, lo Scipionyx samniticus, vissuto 110 milioni di anni fa, rinvenuto nel paese di Pietraroja (BN). – Foto R. Appiani e L. Vitola

Una terra antica, anzi preistorica. A Pietraroja, un paesino di 500 anime arroccato a 800 metri in provincia di Benevento, all’interno di un esteso parco geopaleontologico ricco di specie, è stato ritrovato “Ciro”, il fossile perfettamente conservato di un dinosauro, lo Scipionyx samniticus, vissuto 110 milioni di anni fa, che costituisce un unicum perché presenta ancora intatti gli organi interni e le fibre muscolari. Qui è possibile visitare anche il Paleolab, un museo multimediale di geologia e paleontologia che permette di intraprendere un viaggio nel passato fino ad arrivare al Cretaceo, periodo in cui Pietraroja si trovava ai margini di una laguna. Ma la fortuna di questo luogo è legata anche al celebre prosciutto, tanto apprezzato sin da epoche antiche. La bottega di Vincenzo e Lorenzo Di Biase è una vera e propria operazione filologica del prosciutto tradizionale e della civiltà contadina, oltre a un esempio di storytelling. Entrare in questa antica casa, perfettamente ristrutturata, ci riporta indietro nel tempo. Qui vengono stagionati i prosciutti preparati con cosce di suini locali semibradi. La vista viene subito attratta dalla botola aperta nel pavimento in legno. Da qui si accedeva nella sottostante cantina; un vetro calpestabile offre la vista sui prosciutti in fase di stagionatura. Da un’altra scala si scende nel caveau, dove riposano prosciutti stagionati fino a trentasei mesi e oltre. Una ventina i posti a sedere per degustazioni, ovviamente di prosciutto, ma anche per assaggiare tanti piatti tipici. Intorno a questa economia lenta e di nicchia, in perfetta assonanza con il territorio, sono nate altre piccole realtà, come quella di Gianni Bello, un giovane laureato in Economia che, dopo aver ristrutturato una vecchia casa di famiglia, l’ha trasformata in un micro-prosciuttificio. A questo ha aggiunto un piccolo “villaggio” dell’ospitalità diffusa per accogliere i nuovi turisti del Parco Nazionale.

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