AMBIENTE VITTIMA DI GUERRA

5 Novembre 2025

di

Beppe Boni

Il 6 novembre ricorre la Giornata ONU per la prevenzione dello sfruttamento ambientale nei conflitti. Dalle mine agli agenti tossici, i danni che restano quando tacciono le armi

Dove molti sono morti, altri fuggiti, altri dispersi a causa di una guerra, c’è sempre qualcuno che, dopo, ritorna e cerca di ricostruire ciò che i contrasti tra uomini e nazioni hanno distrutto. Perché la vita, nonostante tutto, continua. I conflitti non devastano solo città, paesi, la migliore gioventù e civili inermi che, spesso, si trovano nel mezzo, ma anche l’ecosistema del Pianeta. Di fronte alle vittime, questo aspetto può sembrare collaterale, ma in realtà è fondamentale, poiché il “dopo” consente alle generazioni successive di vivere, di ripartire da dove i padri e le madri hanno sofferto, pianto, a volte perso tutto, anche la vita. Gli effetti delle attività belliche sull’ambiente sono disastrosi: contribuiscono all’inquinamento atmosferico, alla distruzione degli ecosistemi, alla contaminazione delle risorse idriche e al rilascio di sostanze tossiche con impatti a lungo termine sulla salute pubblica. Oltre all’ambiente urbano, dove le case diventano macerie, anche l’ambiente rurale viene spesso azzerato, ridotto in condizioni che non permettono coltivazioni per lungo tempo. E senza la terra che produce, non si mangia, non si vive. Le Nazioni Unite, fin dal 2001, dedicano a questo tema una giornata annuale di riflessione. Hanno dichiarato il 6 novembre di ogni anno la Giornata internazionale ONU per la prevenzione dello sfruttamento dell’ambiente in situazioni di guerra e conflitto armato. La data ha lo scopo di sensibilizzare la società sugli effetti devastanti che le battaglie causano. L’obiettivo di questa ricorrenza è anche quello di far sì che la protezione dell’ambiente venga integrata nelle strategie più ampie per la prevenzione dei conflitti e il mantenimento della pace. Facile a dirsi, più difficile a farsi. E spesso, come in parte accade proprio in Ucraina, il controllo delle risorse naturali è uno degli elementi che alimentano le attività belliche. L’agenzia per il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) afferma che, negli ultimi 60 anni, almeno il 40% delle guerre è stato connesso allo sfruttamento delle risorse naturali. Oggi, le Nazioni Unite coordinano sei agenzie per aiutare i Paesi a prevenire i fattori che portano alla distruzione delle risorse in situazioni conflittuali: una task force che tenta di salvaguardare ciò che l’uomo, consciamente o inconsciamente, distrugge.

I CONFLITTI NEL MONDO

È un impegno necessario, perché ancora oggi nel mondo sono attive circa 56 contese, con il coinvolgimento diretto o indiretto di 92 Paesi, spesso dimenticate dalla comunità internazionale. Si tratta del numero più alto dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, secondo i dati del Global Peace Index e dell’Institute for Economics & Peace. Solo nel 2024, i conflitti attivi hanno causato più di 233.000 vittime e costretto oltre 100 milioni di persone a fuggire da città e villaggi, abbandonando terreni e coltivazioni sfregiati da bombe, droni e missili. Solo in Ucraina, secondo un’analisi dell’ISDE (International society of doctors for environment), oltre il 20% delle aree naturali protette è stato devastato, con circa 3 milioni di ettari di foresta compromessi. Gaza, già a gennaio 2025, contava 42 milioni di tonnellate di detriti contaminati, mentre le operazioni militari in Afghanistan hanno lasciato una contaminazione tale che potrebbe non essere mai completamente bonificata.

L’INQUINAMENTO

Già, perché oltre ai danni da distruzione ci sono anche quelli da inquinamento di agenti tossici lasciati dagli ordigni degli eserciti. Le armi utilizzate nei teatri moderni non sono solo strumenti di morte immediata, ma anche fonti di tossicità, la cui bonifica richiede tempi lunghissimi. E se la Natura è infetta, non si può utilizzare per produrre cibo, non può ospitare animali e attività umane. L’uso di uranio impoverito, fosforo bianco, bombe a grappolo e altri ordigni diffonde contaminazione nel suolo, nell’aria e nell’acqua, con ripercussioni devastanti per la salute delle popolazioni. I reparti del Genio guastatori dell’Esercito sono specializzati anche nello studio delle bonifiche dei terreni dopo le attività belliche. Un esperto che conosce a fondo questi temi è il Generale Antonio Li Gobbi, specializzato in bonifiche ambientali postbelliche, già ufficiale del Genio (ora in congedo), con missioni ONU in Siria e Israele e NATO in Bosnia, Kosovo, Afghanistan. “Dopo la fine dei combattimenti i segni delle attività belliche continueranno a rappresentare un problema per umani e animali che vi transitano, ma anche per l’utilizzo dei terreni a fini agricoli. L’emergenza riguarda anche le acque di fiumi, laghi e mare. Vi sono ordigni inesplosi che continueranno a rappresentare un pericolo per uomini e animali. Questo vale per le mine, anticarro e antiuomo, e per le bombe rimaste intatte”. Poi c’è lo sfregio lasciato da agenti chimici. Li Gobbi spiega ancora: “Si pensi ai proiettili a uranio impoverito, che in alcuni conflitti sono stati impiegati per il loro elevato potere di penetrazione nelle corazzature dei carri. Dopo l’impatto, rilasciano nell’aria polveri can cerogene molto sottili, che finiscono nel suolo con il rischio anche di inquinare le falde acquifere. Restano poi, per anni, su un terreno difficile da bonificare, i relitti dei mezzi militari distrutti in combattimento: metalli arrugginiti, componenti di radio e di batterie, pneumatici più o meno bruciati, munizionamento non utilizzato. In aree impervie e boschive, dove la bonifica può risultare quasi impossibile, mine e munizionamento inesploso, soprattutto le bomblets a grappolo, possono costituire un pericolo per decenni per escursionisti, popolazioni locali e fauna selvatica”. E non dimentichiamo che le guerre sono spesso mosse per lo sfruttamento delle risorse naturali. Le Nazioni Unite, tra le altre cose, elaborano continuamente percorsi per proteggere l’ambiente durante i conflitti armati e si impegnano affinché anche le operazioni di peacekeeping nel mondo vadano in questa direzione. Lo stesso Esercito Italiano, impegnato nelle operazioni di pace insieme ai Carabinieri, realizza progetti di ripristino ambientale.

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